Cellulari e tumori, tutti gli studi svelati in un libro. “Siamo le cavie dell’industria telefonica”
“Toglietevelo dalla testa”. E’ il titolo del libro di Riccardo Staglianò, 43enne giornalista di Repubblica, che svela i segreti del rapporto tra cancro e telefonini in un’intervista ad Affaritaliani.it: “I cellulari sono come dei forni a microonde, con la differenza che li teniamo vicini alla testa. Con nessun oggetto potenzialmente nocivo l’uomo ha mai avuto un contatto così intimo. Sono nostre protesi”. Che cosa succede quanto telefoniamo? “La protezione del cervello viene meno, ci sono effetti biologici. Chi lo nega è in malafede”.
Perché non si ammettono gli effetti nocivi? “E’ la stessa cosa del tabacco. Ci sono troppi interessi in gioco. E perché i governi dovrebbero toccare un’industria redditizia? La controinformazione mette a tacere le scoperte scientifiche. Ma l’industria ha paura, le compagnie di riassicurazione fanno tante eccezioni di risarcimento per i cellulari”. Qualcuno ha definito il commercio degli apparecchi uno studio epidemiologico: “I cellulari non hanno mai superato i premarket test che fanno tutti i prodotti che possono avere controindicazioni, come i farmaci. Siamo noi i tester di questo esperimento industriale”. Quali contromisure? “Usare l’auricolare, elimina il 95% dei rischi”.
L’INTERVISTA
Davvero il cellulare è come un forno?
“E’ un’immagine che ha una base di verità, purtroppo. Il tipo di radiazioni emesse dai telefoni cellulari sono in tutto e per tutto simili a quelle del microonde. Hanno una potenza più bassa ma la frequenza è la stessa. Però c’è una grossa differenza: il forno a microonde mica lo tieni attaccato al cervello. Il cellulare invece sì, e anche per molto tempo”.
La variante fondamentale è quella temporale?
“Certo, il tempo di esposizione è cruciale. Nella storia dell’umanità non è forse mai capitato che l’uomo tenesse così vicino a sé un oggetto potenzialmente nocivo. Abbiamo raggiunto livelli parossistici. Secondo delle stime, guardiamo lo schermo del cellulare in media 105 volte al giorno. Ce lo abbiamo sempre attaccato alla testa oppure in tasca. Un rapporto così intimo aumenta la necessità di farsi almeno delle domande. Questo oggetto è innocuo oppure stiamo rischiando qualcosa? La risposta è semplice, anche se da 25 anni continuiamo a girarci intorno”.
Quindi il cellulare fa male?
“Ci sono una sfilza di prove scientifiche che le radiazioni del cellulare hanno un aspetto nocivo dal punto di vista biologico. Non sto dicendo che sono sicuro che faccia venire il cancro al cervello. Sto dicendo che dobbiamo porci il problema e capire le conseguenze. Ci sono tanti esperimenti scientifici che provano che il cellulare non è innocuo. Ultimo quello di Nora Volkow, direttrice di un’importante agenzia federale americana e inserita qualche anno fa nella lista delle cento persone più influenti al mondo. La Volkow, che tra l’altro è anche la nipote di Trotzkij, ha dimostrato che i cellulari modificano il metabolismo del glucosio nel cervello. Ma già nel 1975 e nel 1994 c’erano stati segnali in tal senso, con scienziati che avevano scoperto come le radiazioni abbattessero le protezioni dei vasi sanguigni del cervello. L’effetto nocivo non si esercita solo a livello termico, ma anche a livello biologico. Cioè, il cellulare non fa male solo perché standoci a lungo diventa caldo ma perché agisce internamente sulle nostre cellule. E negarlo è molto grave. Chi lo fa è in malafede”.
Perché lo si nega?
“Ci sono una serie di conflitti di interesse. Il primo, ovviamente, è quello delle compagnie telefoniche. Ammettere che i cellulari, se utilizzati senza alcune particolari precauzioni, fanno male sarebbe per loro una rovina. Il secondo è quello della scienza. Ci sono tantio scienziati che hanno sempre professato che le radiazioni non ionizzanti non possono avere un aspetto nocivo dal punto di vista biologico. L’ortodossia di parte della scienza fa sì che questa verità non sia facile da ammettere. Il terzo è quello dei governi e degli Stati. L’industria dei cellulari è una delle poche che funziona. In Italia lo Stato ha appena incamerato quattro miliardi di euro per l’asta che ha assegnato le licenze per pezzi di spettro elettromagnetico. Chi glielo fa fare di andare a toccare proprio un’industria che va avanti benissimo? In questo momento di crisi, poi, dove tutti gli altri arrancano… E’ complicato andare a uccidere la gallina dalle uova d’oro, rompere le scatole a chi produce ricchezza e posti di lavoro. C’è poi anche un conflitto di interessi psicologico, che è quello di tutte le persone comuni, abituate a vivere costantemente in rapporto con il telefono cellulare. Se un giorno ti dicono che il cellulare fa male e il giorno dopo che invece fa bene e, anzi, previene l’alzheimer come è stato detto in uno studio recente quale reazione è la più ovvia? Quella di fare finta di niente e andare avanti. La voce negativa viene messa a tacere da quella positiva e si continua con lo status quo. E’ più facile, più comodo e rassicurante. Non vogliamo accettare il tradimento di una cosa a noi così vicina. D’altronde, la gente fuma anche se sa che fa male”.
Il fatto che il cellulare faccia male lo si sente da tanto tempo. È una specie di credenza popolare, no? Le madri dicono ai figli di non tenerlo troppo vicino alla testa o nelle tasche dei pantaloni. Però un’evidenza del rischio non è mai venuta fuori. Come si può passare da credenza popolare a verità scientifica, come è successo per esempio con l’amianto?
“Hai ragione, quella del cellulare è ancora una storia apocrifa. E’ l’epifenomeno di tante altre storie. La scienza viene sistematicamente dirottata dai soldi. E’ successo col tabacco, è successo col cromo. Le modalità di come questo accade non solo sono simili: sono identiche. Prendiamo il tabacco. Sostituiamo il cancro al cervello con il cancro ai polmoni e la storia è la stessa. C’è la stessa controffensiva mediatica e scientifica non appena viene fuori qualcuno che dice che i cellulari fanno male. Quando si parlava di tabacco, venivano avvicinati gli scienziati amici e le agenzie di comunicazione. Non so se sta avvenendo lo stesso anche con i cellulari, però certo gli eventi sembrano uguali. L’industria telefonica non può accettare che venga messa in discussione la nocività del cellulare. Basti ricordare che cosa è successo nel 1994, quando Larry King fa parlare un signore al quale era appena morta la moglie per un tumore al cervello. E’ bastato che quest’uomo dicesse che secondo lui il tumore fosse stato causato dall’eccessivo tempo trascorso al cellulare che in due settimane l’industria telefonica perdesse il 20% del suo valore in Borsa. Stiamo parlando dell’industria più redditizia del pianeta che perde in pochi giorni un quinto del suo valore. Impossibile da accettare, no? Appena un mese dopo, la lobby dei telefoni annuncia che farà un proprio centro studi. La stessa cosa l’avevano fatta quelli del tabacco. Peccato che poi tutti gli scienziati impegnati nel centro non fossero indipendenti. E quelli che venivano da fuori, le voci discordanti, li si lascia in bagnomaria. La tecnica è la stessa: gli si dice che il centro è interessato al loro lavoro, poi cominciano le manfrine, i rinvii. Passa del tempo e non succede niente. E’ una enorme dilazione. “Controversia, controversia, controversia”, diceva qualcuno. L’industria telefonica non è in grado di mettere a tacere le voci discordanti ma può aumentare il rumore di fondo. Il risultato è che le persone normali non capiscono più niente”.
Nel tuo libro proponi un decalogo per un uso sicuro del cellulare. Applicando questi suggerimenti il rischio sparisce?
“Usare l’auricolare o il vivavoce. Appena si può mandare un sms invece di chiamare o passare alla linea fissa. Sì, sono tutte cose che limitano i rischi al minimo, si stima tra il 90 e il 95%. Sono dati. Le radiazioni si disperdono con la distanza. Bisogna seguire questi accorgimenti, non ci sono scuse”.
Nell’introduzione al libro dici che la voglia di indagare e di scrivere sulla vicenda è partita da una cosa che hai letto sul libretto di istruzione del tuo cellulare…
“Sì, mi hanno fatto notare che sul libretto di istruzione dell’iPhone c’è scritto che si consiglia di tenere il telefono a una distanza minima di 1,5 centimetri dal corpo. In altri casi, come per il Blackberry, i centimetri diventano 2,5. E’ come se sul libretto di istruzioni del rasoio ti dicessero di non metterlo sulla pelle. Qui ci stanno dicendo di usare meno il telefono. Il contrario del motto capitalista: produci, consuma sempre di più. Per quale motivo un’azienda dovrebbe arrivare a una formulazione così contraria a qualsiasi legge del capitalismo? Qual è la pistola alla tempia puntata per scrivere una bestemmia così eclatante? La risposta può essere solo una, cinica e sfacciata: precostituirsi un alibi in previsione di ricorsi e class action dei consumatori. A quel punto, quando qualcuno gli chiederà dei soldi per risarcimento loro potranno dire: ‘Eh no, attenzione, noi ve lo avevamo detto a pagina 7 del manuale che consigliavamo di tenerlo lontanto dalla testa’. Allora io dico, se è così, devono scriverlo sulla prima pagina del libretto a corpo 40. Se il cellulare fa male lo devono scrivere chiaramente, come viene scritto sui pacchetti di sigarette”.
Ci sarebbe bisogno di un Jeffrey Wigand, le cui rivelazioni misero in imbarazzo l’industria del tabacco, anche per i cellulari?
“Certo che sì. Però spero che si arrivi a qualche risultato anche senza una “gola profonda” e che le aziende facciano dei passi di ragionevolezza, spinti anche da un moto di responsabilità”. Rischiamo di avere tra qualche anno un’ondata di tumori dovuta all’uso del cellulare? “Non mi piace disegnare scenari catastrofici. Al massimo posso riportare dei dati che qualche scienziato dice. Ogni anno ci sono 5 mila casi di tumori al cervello. Se è vero che dopo 10 anni di utilizzo del cellulare raddoppia il rischio i casi possono diventare 10 mila. Qualcuno dice che da qui al 2020 ci saranno 300 mila casi in più dovuti a questo. Però io non voglio suscitare allarmismi, spero che tutto questo sia figlio di una preoccupazione eccessiva. Voglio che questo sia chiaro: io spero di sbagliarmi e che i cellulari non facciano male. Però il problema esiste e bisogna fare qualcosa per prevenirlo. Se è previsto uno sciame sismico e le istituzioni non prendono nessuna precauzione ci sono due epiloghi: o non succede niente o succede qualcosa. Se poi arriva il terremoto e fa dei morti allora di chi è la colpa? Io ti prendo e ti metto in galera. Lo stesso ragionamento deve essere fatto con i cellulari. Speriamo che non accada nulla di male, ma se dovesse accadere allora saremmo tutti colpevoli. Compagnie telefoniche, certo, ma anche scienziati, giornalisti e politici”.
In Italia noi abbiamo una situazione particolare. Da una parte abbiamo l’unico caso di una sentenza del tribunale di Brescia che ha stabilito un risarcimento a carico dell’Inail per un ex manager colpito da un tumore alla testa causato dall’uso eccessivo del cellulare. Dall’altro non si prendono contromisure scientifiche…
“Sì, in Italia c’è una situazione schizofrenica. Negli altri paesi qualcosa hanno fatto. In Francia hanno vietato pubblicità di telefoni cellulari rivolte ai minori di 14 anni. Dall’altra parte gli specialisti dell’Istituto superiore della sanità dice che non c’è nessun rischio. Uno di loro, Susanna Lagorio, sulla maggiore pericolosità per i bambini mi ha risposto: “Come mamma, mi dà sicurezza sapere che mio figlio è rintracciabile”. Ma che risposta è? C’è però da dire che, per la prima volta, il Consiglio superiore di sanità lo scorso 18 novembre ha consigliato di usare l’auricolare e “un’autolimitazione delle telefonate non necessarie”.
Le compagnie hanno paura di eventuali class action?
“Ci sono già delle associazioni di consumatori che stanno lavorando al riguardo. Ci sono alcune cause aperte negli Usa. Certo che hanno paura. Non sarà facile stabilire un rapporto di causalità, ma non era facile nemmeno per le sigarette o per l’amianto. C’è un aspetto agghiacciante: le compagnie di riassicurazione, cioè quelle che assicurano le compagnie assicurative, fanno tantissime eccezioni di risarcimento per i cellulari. Lo ritengono un rischio. Swiss Re mi ha confessato che da una cosa del genere potrebbero finire in ginocchio. E’ uno scenario che fa perdere il sonno alle aziende telefoniche”.
La società può fare a meno del cellulare?
“Macché, proprio no. E io per primo. Non sono un luddista, ho insegnato per anni Nuovi media all’università e amo la tecnologia. Io non voglio dire di non usare il cellulare, ma usarlo in modo consapevole, sapendo che non è un oggetto inoffensivo”. Si può definire la diffusione dei cellulari come un enorme studio epidemiologico di massa? “E’ una definizione un po’ provocatoria ma credo di sì. Il cellulare è uno dei pochi prodotti di massa che non ha dovuto passare il “premarket test”, la verifica preliminare alla commercializzazione che si fa di ogni farmaco o prodotto potenzialmente nocivo. Perché? I motivi sono ancora incomprensibili. Certamente se nessuno ha verificato che il cellulare fosse innocuo, tutti noi siamo i tester. Allora si può dire che mettere i cellulari sul mercato è stato un grande esperimento, ancora in corso, e noi siamo le cavie”.
Ma come ti è saltato in mente di andare a rompere le scatole all’industria telefonica?
“Lo so, questo è un argomento da rompicoglioni. Tra i 10 maggiori spender pubblicitari in Italia, quattro sono aziende telefoniche. È difficile andare a dargli fastidio. Ho potuto farlo solo in un libro, perché credo che ormai libri e teatri siano gli ultimi spazi di libertà totale. Pensare che una volta ricevevo tanti complimenti da amministratori delegati delle compagnie quando scrivevo articoli che mettevano in luce gli aspetti positivi dei cellulari soprattutto per il loro ruolo nei paesi in via di sviluppo. Ora credo che sarà difficile che qualcuno mi regali mai una ricarica…”
(fonte: https://www.affaritaliani.it/cronache/cellulari-e-tumori310112.html)